Alcuni anni fa, esattamente venticinque anni fa, uno famoso e soprattutto gran persona per bene, Giacomo Tachis, mi svelò un segreto dicendomi che non sarebbe stato un dramma, se qualche anno avessimo comprato dell’uva da altre zone perché, magari, per quell’anno era venuta meglio della nostra. ( Non l’ho mai fatto ).
Alcuni anni fa, uno famoso e altrettanto persona per bene, Brian Fletcher, mi
portò ad assaggiare in una fiera in Francia, Grange di Penfolds, insieme
all’enologo che lo aveva fatto e lui mi svelò un segreto dicendomi che il suo
vino era un blend di Syrah proveniente da differenti regioni dell’Australia,
perché l’uva aveva caratteristiche diverse che si completavano, proprio perché
coltivate in zone diverse.
Abbiamo sempre considerato Virzì casa nostra, un territorio dove le varie altezze e le varie esposizioni potessero dare alle stesse uve qualità e caratteristiche diverse.
Un Syrah, un Grillo, un Nero d’Avola, un Catarratto o uno Chardonnay sono espressione della particella di provenienza e si differenziano da quelli di altre particelle anche se insistono nello stesso territorio.
250 metri di altitudine o 450 metri di altitudine non sono la stessa cosa, come non sono la stessa cosa una esposizione a nord piuttosto di una sud.
Morale avere qualche ettaro in più significa qualità perché da quelle uve un po’ diverse produrrai un vino più interessante e complesso.
Avere la possibilità di scegliere è una fortuna. Essere tranquilli di scegliere a casa propria è una grande possibilità, perché quell’uva destinata a quel vino avrà caratteristiche uniche che solo il nostro territorio può avere in se.
Trasformare la stessa tipologia di uva, ma coltivata in particelle differenti per altitudine, esposizione e quindi periodo di raccolta è fondamentale perché se hai bisogno di freschezza o di struttura sai esattamente quale raccogliere e l’importante è sempre essere vignaiolo perché solo lui conosce a fondo il proprio territorio.
Francesco Spadafora